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Fai buon viaggio nella Tua vita...
Incontro con il tecnico di Tennis Enrico Alexis.
(di Alberica Rocca)


Incontro Alexis a Roma in un grande albergo nel centro vicino a via Condotti. E’ occasione la moda, la grande moda romana. Alexis è qui per lavoro -quello che lui sorridendo definisce - la seconda parte del suo lungo viaggio di vita. Scegliamo una bella sala piena di tappeti antichi dalle tonalità mogano, con dipinti e mobili che hanno storie da raccontare. Ci servono un tea in antica porcellana contornato di squisiti dolci e ci sediamo. Alexis è vestito completamente di nero, in perfetta forma, è abbronzato, belloccio e sorride un po’ timido al nostro incontro.

Avevamo programmato questa intervista da lungo tempo, Alexis mi aveva chiesto di incontrarci così, in maniera informale, come due amici che dopo tanto tempo si incontrano e vuotano il sacco raccontando. Mi sono documentata sulle sue esperienze. E’ un atleta di professione con lunghe esperienze negli Stati Uniti, è testimonial di una prestigiosa azienda americana di abbigliamento sportivo, (Nike,ndr) ha la sua base a Santa Margherita Ligure e studia legge. Decido di indurlo a parlare a ruota libera, di “vuotare” quel sacco di esperienze, quel lungo viaggio come spesso lui, ama ripetere.

Innanzitutto come mai qui a Roma?
Sono qui per la moda, ho una società che opera in questo settore. Quando iniziai a sognare il mestiere di tecnico di Tennis, avevo già deciso che indipendentemente da quello che sarei riuscito a fare, ad un certo punto della mia vita, avrei senz’altro girato boa. E’ una questione di “dna”, ho bisogno di avere nuovi stimoli, nuovi sogni, di confronti con altre persone e di diventare migliore o forse diverso.

Quindi addio al Tennis?

Si, a quel Tennis a cui pensavo prima, ma rimarrò vicino allo sport in altre forme, con altre considerazioni. Sono molto affascinato dall’idea di realizzare progetti dove le persone possano scambiarsi le proprie passioni, che siano sportive o creative. Che siano fatte di muscoli o di suoni, di colori o di figure. Il Tennis è stato una durissima prova di vita. Una galleria buia che con il tempo è diventata chiara, ha preso luce ed è diventata magia.

Partiamo dall'inizio dalla tua scelta "Americana".

E’ stata una scelta obbligata. Mi rendevo conto che non avrei mai potuto conoscere, rimanendo in Italia, il grande Tennis. Sono stati momenti di grande solitudine, vuoi per la lingua, per l’inesperienza e per le difficoltà di inserimento. Ricordo lunghe passeggiate in riva all’oceano per trovare la forza e andare avanti, avevo solo coraggio, forse solo la forza di aver sognato un giorno qualcosa e l’obbligo con me stesso di realizzarla. Ho avuto la fortuna di incontrare buoni amici, tra cui Javer Campos. Un ragazzo di intelligenza straordinaria, traduttore simultaneo all’Onu, ricco di iniziativa e grandissimo comunicatore. Lo incontrai in Spagna a Madrid, eravamo lì per Dennis Van Deer Meer (Presidente della Associazione di Maestri di Tennis più grande del mondo, ndr). Diventammo amici subito e prese a cuore i miei sogni e mi aiuto molto a realizzarli. Partì proprio da lui questo lunghissimo viaggio di vita e professionale.

Quali furono le tappe importanti?

Iniziai a voler visitare la sede di Van Deer Meer a Hilton Head, una bella isola della Carolina del Sud. E’ stata una esperienza utile sul profilo della visione generale del Tennis, su come insegnarlo per il livello base e come ottimizzare al massimo il proprio marketing. Dentro avevo però voglia di conoscere il grande Tennis, quello dei campioni, quello delle scelte tecniche innovative, sentivo che quello era il posto adatto per me. Dopo alcuni mesi decisi di partire.

Negli Stati Uniti in quel periodo, esistevano due sole Academy di Tennis in grado di preparare atleti alle competizioni professionistiche: Harry Hopman, (mago della squadra Australiana che vinse la Coppa Davis,ndr) e Nick Bollettieri (inventore di campioni mondiali quali: Andre Agassi, Jimmy Arias, Jim Courier, Pete Sampras, Anna Kournikova, Monica Seles,ndr). Decisi di andare per grado e di propormi allenatore da Harry Hopman a Saddlebrook (resort a nord di Tampa, Florida, nrd). Saddlebrook è un bellissimo resort di livello alto, con campi da Tennis, Golf e Calcio, immerso in tantissimo verde, con appartamenti ed alberghi intorno a laghi e piscine. Feci un provino nel campo principale e iniziai la mia esperienza.

Mi ricordo ancora la felicità per quelle magliette del Team, sentivo dentro di aver preso la strada giusta. Il lavoro consisteva all’inizio nel supportare nei campi alcuni Coach dell’Academy gestendo gli allenamenti dei ragazzi secondo le loro indicazioni. Non c’era molta possibilità di intervenire tecnicamente perché quello era un compito “riservato” a loro. In campo eravamo sempre in cinque, un istruttore e quattro allievi. Il livello di Tennis era medio-alto, diciamo equivalente alla nostra serie B. C’erano moltissimi ragazzi e ragazze straniere e molti orientali, La maggior parte di loro giocava nei campionati universitari, vero bacino di futuri campioni. Alle 5 del pomeriggio si finiva il lavoro sui campi e rimaneva tempo per un bagno o per le sessioni di pesi. Una sera ero su un campo da Tennis a provare una nuova macchina lanciapalle. Un tipo computerizzato che gestiva le direzioni, le rotazioni e le routine.

Vicino a me sentivo un signore incitare una piccola ragazzina con i capelli lunghi biondi che giocava davvero bene. Quel signore ad un certo punto venne da me e si presento: “Piacere sono Jim Pierce”. Vedendo il mio pass dell’Academy, comprese che facevo parte del Team Hopman. Dopo alcuni convenevoli, mi chiese se volessi giocare con la figlia. Dissi di sì. La ragazzina, magretta e tenera era Mary Pierce, giocatrice oggi tra le prime cinquanta al mondo. Subito ci fu intesa, giocammo e si discusse su alcune problematiche tecniche. Mary era potente ma elaboriosa, giocava un Tennis sempre uguale e non anticipava abbastanza per prendere il tempo sull’avversario. Era giovane, circa dodici anni. Jim mi prese a cuore e io loro, mi invitò a casa e cenammo tutti assieme. Conobbi la mamma francese e il fratello, anche lui tennista. Jim sorseggiando un whisky mi fece vedere la sua collezione di armi, tutte Magnum enormi. Ero un po preoccupato ma poi capii: Jim era un orefice!

Al termine della piacevole serata ero esausto, il continuo tradurre ogni singolo discorso mi stanco molto. Ci salutammo. Il giorno dopo ripresi il mio consueto lavoro e vidi ancora i Pierce nella serata. Giocammo assieme e Jim mi propose di seguire la figlia. Passarono alcuni mesi di duro lavoro, Mary era instancabile, aveva una forza straordinaria e “picchiava” duro su ogni palla. Chiesi a Jim qualche cesto di palline nuove. Si presentò il giorno dopo con 300 palline. Arrivo il tempo di tornare in Italia, per “fare stagione” a Santa Margherita Ligure. Jim mi propose di seguire Mary “sempre” con vitto e alloggio e soldi in caso di vincite. Ero convinto che fosse un talento ma decisi di tornare.

Oggi pensandoci, avrei potuto forse accettare. Trascorso il periodo estivo ero sempre più attratto da quel tipo di Tennis. A Santa Margherita si facevano molte lezioni ma di livello principianti. Non mi sentivo soddisfatto pienamente di me stesso. Tornai in America con volo su New York, proprio il giorno della famosa maratona. Vidi nuovamente Javer che abitava lì. Parlammo insieme delle esperienze fatte e della voglia di continuare a crescere. Decisi subito di provare ad entrare nella Nick Bollettieri Tennis Academy. Non fù per niente facile, c’era molta chiusura e poi un Italiano che arriva non garantiva grandi qualità sul livello professionale. Riuscimmo a fissare un incontro, un esame. Mi fu di grande aiuto la passata esperienza dall’academy di Harry Hopman che nutre una profonda considerazione da Bollettieri nonostante fosse un temibile concorrente.

Cosa accadde?

(Alexis sorride e si ferma alcuni secondi dopo un fiume di parole. Sembra quasi rivedere tutto quello che racconta.)
Accadde il grande amore per il Tennis competitivo. Da Nick Bollettieri si respirava una grandissima aria di voglia di vincere. C’erano moltissimi atleti, almeno 300 persone in scarpe da Tennis con racchette, maglie sudate, borse e grinta. Tutti, nessuno escluso, sognavano di essere il numero uno. In camera capitai con Josè, un ragazzo portoricano. Molto gentile ed educato. Nell’altra stanza Jim Courier - (futuro numero uno al mondo, ndr) - con una montagna di panni da lavare al centro. Con Josè legammo subito perché si parlava un po’ spagnolo e tutto era più semplice. Jim intanto continuava a tenere la sua montagna di panni. I miei compiti all’inizio erano davvero minimi, lanciavo palline da cestino, cambiavo le reti, accordavo racchette, tentavo di tradurre per gli atleti Italiani presenti in Academy. Poi nacquero i guai.

Quali guai?

Ero stato assegnato nel gruppo di istruttori di cui capo era Red, un ragazzo americano con la pelle color latte e capelli rossi. Con una auto sportiva nera con disegnati tuoni sulla carrozzeria ed una bellissima ragazza che lavorava come commessa al Mall Center di Bradenton. Il suo compito -e così capii la mentalità iniziale dell’academy -era quello di incitare gli atleti con enormi pressioni vocali. Tipo la preparazione dei Marines (celebre corpo militare americano, ndr). Era difficile per me continuare ad urlare: “Muoviti, dai, corri, muoviti, muoviti”.

Avevo già una predisposizione molto tecnica dell’insegnamento. Il Bollettieri pensiero era quello di sottoporre gli atleti ad una forte pressione mentale per verificare quali di loro fossero in grado di superarla per un naturale processo selettivo. Capii poi che prima di imporre una impostazione tecnica era necessario portare gli atleti ad una condizione atletica, mentale e di pratica di notevole qualità. Un processo che poteva durare anche diversi mesi. Ma io ero già pronto per la seconda parte, quella dei supervisori tecnici. Ne parlai con Gabriel Jaramillo, un ragazzo colombiano direttore dell’Academy. Giocava ad buon livello pieno di rotazioni e tutto avanti. Dissi a Gabriel che non ritenevo utile continuare ad urlare solo frasi di incitamento e che i ragazzi che avevo “sotto” necessitavano di impostazioni tecniche e non solo urli.

Il mattino seguente al solito “Briefing” (riunione in cui l’equipe si ritrova per stabilire l’ordine del giorno ed analizzare il lavoro svolto,ndr) dopo una ricca colazione di pankakes con sciroppo di acero, una vera squisitezza, Gabriel prese parola di fronte ai 40 tecnici dell’equipe. “Ragazzi, ieri ho avuto un piacevole colloquio con Enrico” disse indicandomi e continuo: “Lui viene da Hopman e ha esperienza, mi ha illustrato il suo pensiero sul fatto che alcuni di voi pensino troppo ad urlare e poco a insegnare. Ha ragione. La nostra missione è quella di dare impostazioni tecniche e non solo stimoli. Vi prego di considerare con la massima attenzione questo suggerimento a tutti noi. Grazie Enrico”. Rimasi davvero colpito da questo gesto, dentro ero fierissimo, gongolavo di soddisfazione e mi sentivo lusingato. Imparai la mentalità di lavoro americana: ascoltare le idee e pensieri altrui e essere in grado di riconoscerne le qualità per migliorare se stessi. Purtroppo non fu solo l’unica cosa che capii.

Quell’azione di Gabe (soprannome di Gabriel,ndr) mi aveva fatto invidiare da buona parte dell’equipe, soprattutto dai più anziani. Passarono momenti difficili, per fortuna avevo amico Josè, mi fece i complimenti e mi confidò di non aver mai ascoltato prima Gabe fare quelle considerazioni. Nel frattempo arrivò il periodo Natalizio, e insieme alle feste, anche molti italiani per le classiche due settimane di Tennis a cavallo del fine anno. Ebbi l’incarico di seguirli e nacquero amicizie. I rapporti con la Nick Bollettieri Tennis Academy si intensificarono, prendemmo accordi e diventai Marketing Representative per l’Italia. Questo incarico era il punto di contatto tra gli aspiranti atleti e l’Academy. Dalle semplici informazioni dei prezzi alle selezioni tecniche per partecipare al Full Time Programe, (un corso di Tennis a lunga durata, ndr). Al ritorno in Italia feci larga promozione di questo mio nuovo incarico. Seppi poi che in forma non contrattuale, l’Academy di Bollettieri aveva un punto di riferimento anche nel sud, precisamente a Capri.

Nacquero alcune incomprensioni come è normale in questi casi con le solite ragioni: quando si tocca il “giardinetto altrui” tutti diventano irascibili. Poi la IMG (International Management Group, ndr) che aveva acquisito i diritti del marchio Bollettieri, decise di aprire filiali in giro per il mondo, compresa l’Italia. Tante academy specchio, questo era il progetto. Mi dimostrai contrario a questa idea. Ero sicuro che “l’aria” che si respirava a Bradenton non poteva essere ripetuta in nessun altro luogo. E poi non c’era sufficiente garanzia e tempo a mio parere, per preparare tecnici professionalmente impeccabili per dirigere queste sezioni secondo l’altissimo livello tecnico che da Bollettieri era la consuetudine. La filiale italiana mi vide molto contrapposto con Lino Ballardini, manager a Monza che acquistò i diritti di Bollettieri per l’Italia. La struttura in se era perfetta, purtroppo per tanti motivi, comprese le mie perplessità che poi si dimostrarono fondate, chiuse dopo poco tempo. Nel frattempo ero stato nominato Marketing Representative per l’Europa con esclusione di Italia e Spagna, inviai molti atleti da Bollettieri a Bradenton e mi fece piacere rivedere in campo alcuni di loro nel mio successivo ritorno da Nick.

Una sera al Rec (Recreational Center, una sorta di pub/locale dove i ragazzi si trovano in compagnia la sera all’interno dell’Academy, ndr) mentre aspettavo il mio turno per il solito torneo di Ping-Pong, mi si avvicino un omone abbronzato e pieno di collane d’oro. “Jim dissi”. (Jim Pierce, padre della campionessa Mary,ndr) Ci salutammo con affetto e vidi Mary, era diventata grande e molto carina. Fu piacevole rivederli. Mi raccontarono che erano andati via da Hopman perché a loro dire, non si sentivano abbastanza seguiti. Avevano fissato un accordo con Nick Bollettieri in persona per entrare nel Travelling Team. Questa sezione era dedicata a quei giocatori che rientravano nelle liste della ATP (classifiche mondiali, ndr) o che avevano un bagaglio tecnico talmente alto da poterci rientrare. Non furono molto teneri neanche con Nick Bollettieri. Era il tempo dell’esplosione di Andre Agassi, con tutto l’impegno di management che questo comportava.

C’era inoltre Monica Seles ormai pronta per entrare nel circuito professionistico. Jim voleva a tutti i costi che Nick seguisse Mary personalmente. Questo era abbastanza difficile in quel momento per l’enorme risorsa di energie che Agassi necessitava. Mi chiese di seguire Mary personalmente. Iniziammo così dopo il normale allenamento in Academy, a giocare assieme, dopo le cinque sui nuovi campi in terra verde, proprio vicino all’ingresso. In seguito per evitare gelosie da parte di altri istruttori più anziani di me, decisi con Jim di allenarci al di fuori dell’Academy. Mary era molto migliorata, il maggiore peso acquisito si sentiva sulla palla, tuttavia non aveva ancora imparato a variare il suo gioco. Inoltre basava tutti i suoi colpi sulla pressione mentre io la esortavo a ridurla leggermente a favore dell’anticipo.

In quel periodo passavo molte ore tra i tendoni lato campo, a spiare Nick Bollettieri nelle sessioni chiuse a tutti, dove lavorava da solo o con Gabe su Monica Seles. Furono pomeriggi molto utili sul piano professionale. Nick era molto calmo ma deciso nell’insegnare. Pignolo sino all’ossessione, voleva la perfezione e riprovava mille volte ogni singolo pezzo di gesto. Monica ancora molto giovane, ripeteva senza esitazioni. Mi ricordo un pomeriggio la vidi arrivare con la bambola in braccio e la racchetta. Rimase tutto il pomeriggio da un lato di risposta del campo a ricevere la battuta di Gabe, eseguita dalla rete a metà campo, e rispondere sia di diritto che di rovescio.

Ogni singolo colpo era motivo per Nick di insegnare e discutere sui singoli dettagli. Vedendo quelle immagini e respirando l’aria sportiva, già sognavo una Academy con il mio nome dove poter svolgere la professione secondo le mie idee. Più trascorreva il tempo e più incameravo dati ed idee tecniche. Poi elaboravo alcune miei concetti in base ai punti di vista personali, alle esperienze che ebbi occasione di approfondire seguendo Jack Groppel e le sue sessioni mentali, Peter Burwash, la scuola spagnola di Alvaro, il grandissimo Louis Cap che giocò in Coppa Davis e Dennis Van Der Meer.

Nacque qualcosa, un tuo metodo?

Si, dopo tutte quelle esperienze, i viaggi, le chiacchierate, le ore passate a vedere tanti atleti di classifica ATP, ho consolidato alcune idee personali su quello che un atleta dovrebbe avere per vincere. Un tipo di impostazione adatta per giocatori già bravi, sia tecnicamente che sul profilo della conoscenza personale. Si basa sull’ottimizzazione gestuale, dividendo per settori i movimenti ed implementando l’uso delle leve e del peso corporeo. E’ un Tennis molto di qualità. La maggior parte degli allievi che conosco, gioca un Tennis antico, fatto dei soliti concetti molto radicati in Italia:”Piega le gambe e lascia andare il braccio”. Una frase che di per se non significa niente. Non chiarisce quando, come e perché.

Io sono convinto che sia necessario per gli atleti che cercano di migliorare il proprio bagaglio tecnico, di approfondire in maniera molto precisa, quasi maniacale, ogni singolo settore di gesto. La racchetta entra sul segmento creato dalla palla, deve rimanerci e poi uscire secondo le proprie necessità date da quello scambio. Molte volte entra ed esce talmente veloce dalla linea della palla che non si riesce neanche a dirle: “Dove voglio mandarti, come e con quali effetti”. Il mio principio è proprio quello di acquisire questo concetto e di differenziare la gestualità nella fase dell’ingresso, dove si contrae il muscolo per accellerare, nella fase dello “stare”, la più delicata, dove si “spende” sulla palla in pratica quello che si è creato prima, e la fase in uscita, l’ultima, dove si inseriranno gli effetti sulla palla necessari a variare l’andamento del rimbalzo..

Se si ottimizzano questi tre settori, si ha bisogno di creare molta meno energia perché la si spende meglio. Il rapporto poi di spinta tra il secondo e terzo settore potrà creare quella variazione continua di profondità, pressione, rotazione, così necessaria per il giocatore del nuovo millennio. Come dicevo prima: un Tennis di qualità pittosto che di quantità. Devo chiarire che questa mia visione tecnica nasce dalla profonda esperienza maturata nel Tennis giocato di anticipo. Non sono un tecnico adatto per giocatori che amano confrontarsi rimanendo fuori dalla linea del campo così come ai principianti. Il mio “gioco” si basa su una serie di punti fermi: “Sfruttare i tempi morti preparandosi, ridurre le aperture e i gesti indietro, ampliare quello che si fa avanti, utilizzare la velocità e il peso della pallina sul rimbalzo, scaricare il peso del proprio corpo, gestire ed ottimizzare l’entrata, lo stare e l’uscita dalla palla.

(Alexis si alza e mima i gesti in sincronia con le parole, appare sicuro e molto convincente nelle sue teorie). Poi ci sono le leve - continua a spiegare - abbiamo una lunga leva che parte dall’omero e termina sul manico della racchetta. Utilizziamola completamente se vogliamo giocare lungo. Gomito e polso andranno bene per incrociati stretti. Soprattutto quello che continuo a ripetere è che bisogna capire che non è importantissimo quanto veloce viaggi la palla ma quanto prima torna al nostro avversario. Dobbiamo farla rimanere in aria molto, con una parabola tesa che abbia poca “bombatura”. Il braccio ci servirà per dirigere, per decidere la profondità e la rotazione.

Per spingere invece, dovremo sfruttare il rimbalzo della palla ed aggiungere il peso del nostro corpo ragionando sul concetto principale previsto da questo tipo di Tennis: unire nella fase gestuale il movimento del braccio con il passo o il salto verso la pallina. Insomma, un Tennis dinamico e non statico condotto con questa filosofia: ogni colpo un passo avanti dentro al campo.

Concetti innovativi?

E’ un punto di vista completamente diverso, molto moderno, ancora quasi sconosciuto dalla maggior parte di atleti ed insegnanti. Tutti parlano di Tennis d’anticipo ma pochissimi in realtà sanno insegnarlo o applicarlo. Io rendo possibile al giocatore la capacità di poter comprendere con esatta sensazione, quali componenti ci siano in questo tipo di gioco: racchetta, pallina, campo e atleta e di quali settori il gesto sia composto: azione nei tempi morti, entrata, stare e scarico, uscita ed effetto. Bisogna lavorare in ogni singolo settore gestuale. Scomporre in pratica tutto, analizzare ogni singolo pezzo e ricomporre.

Come vedi il Tennis e la situazione in Italia?

Male, molto male. E non ci vuole esperienza per capirlo, è di opinione pubblica. Ci sono stati disastri gestionali e politici da troppo tempo. Per anni “giardinetti” intoccabili che rendevano denaro e che nessuno ovviamente toccava. Si sono spese molte energie sul profilo politico, sulle cariche assunte e negli eventi “Specchi per le allodole”. Molto poco è stato invece speso per investire sui tecnici. I Maestri Italiani sono abbastanza bravi sino al livello medio. Hanno una buona condizione interpersonale con gli allievi e con i genitori. Sono simpatici e disponibili. Hanno una buona preparazione sul piano ludico. La maggior parte di loro è stata quella di ex-giocatori.
Purtroppo trasmettono le loro esperienze interpretandole come consigli tecnici adatti al Tennis di oggi. Magari però, sono passati vent’anni dai loro tempi e molte cose sono cambiate. Quello che assolutamente non c’è è il tecnico nel vero senso della parola, un individuo che abbia studiato per fare questo mestiere e che sia in grado di riconoscere la sua giusta collocazione, che sia media o alta, specializzandosi in quella che ritiene più adatta. Ci sono poi le interpretazioni personali, io per esempio penso a giocatori d’anticipo tipo Agassi e Seles, non potrei e vorrei costruire altri tipi di atleti, lascio questo compito a persone più adatte di me in tale senso. Mi sono specializzato e quindi ho intensificato i miei interessi su un piano circoscritto elevando moltissimo il livello tecnico di conoscenze personali nel Tennis moderno.

In Italia, bisognerebbe cambiare troppe cose nella mentalità. Al mio ritorno dagli Stati Uniti per esempio, ho riscontrato moltissime difficoltà create da invidie e timori, dai “paletti” e dalle tante critiche. Tutti passaggi obbligati. Gli addetti ai lavori, non accettavano assolutamente questa mia scelta di imparare dai più grandi e di farlo autonomamente, come un cane sciolto. Criticavano me e Nick Bollettieri per il gioco che insegnava, per i metodi e per tantissime sciocchezze. Poi abbiamo dimostrato il nostro valore e tutti si sono rimangiati ogni cosa. Sono state comunque tensioni utili, mi hanno aiutato a formare il carattere e anche un pò cambiato, perché le cattiverie ti modificano anche se non lo vorresti.

Poi con il tempo si comprende meglio e ci si rende conto di quello che si è riusciti a fare e si è grati ai momenti bui che ti hanno fatto diventare un uomo migliore. Alla fine, io volevo imparare il meglio dai migliori e così è stato. Ho avuto poi un buon amico con cui ho condiviso alcune idee e progetti, la voglia di realizzare qualcosa che rimanesse nel tempo, una struttura sportiva che portasse il mio nome (Enrico Alexis Sports Academy, la struttura sportiva di Alexis, ndr). Per me è come un padre. Insieme abbiamo avviato un progetto molto stimolante, la conversione di una grande area da monotematica con il solo gioco del Tennis a diversificata, come espressione di quello che ognuno di noi ha dentro quando si muove, quando compete e quando si allena.

Nel frattempo le cose in Italia sono cambiate, la Federazione Italiana Tennis ha culminato una lunghissima serie di errori gestionali come dicevo prima, di chiusura totale verso ogni evoluzione tecnica e di continua ostinazione a non volersi rinnovare. Così facendo hanno completamente distrutto il Tennis. E non sono i soli, tutte le loro “pessime qualità” sono comuni anche in alcune pubbliche amministrazioni con cui ho dovuto interfacciarmi. Dove in fondo poi, dell’idea, della passione, della disponibilità economica ad investire non importa nulla. Alla fine c’è solo un continuo desiderio di interessi personali dichiarati o fatti capire, una completa ignoranza culturale e professionale a gestire progetti e una arroganza da “padre padrone” stile prima democrazia, veramente irritante ed inconcepibile per funzionari pubblici e per i tempi in cui viviamo. Un completo disastro sotto tutti i punti di vista.

Parliamo del tuo futuro, che uomo sarai?

Un uomo diverso, consapevole del passato, di quello che ha fatto e subito. Con una età diversa ed ancora sogni da voler realizzare. E’ come se fosse ritornata la capacità di vedere quello che sembrava sfumato, perché troppo presi dalla voglia di riuscire. Ora rivedo quei colori. Delle bellissime sfumature dove mi soffermo a pensare rivedendo immagini di questo lungo viaggio interiore.

Ho voglia di girare ancora tanto il mondo per cogliere l’animo delle persone, le loro quotidianità, i loro paesaggi e il modo di vivere. E’ come una grande università di vita, dove più giri e più cresci dentro, con i vantaggi e gli svantaggi che tutto questo porta: ti si apre il cuore e diventi ogni volta un po’ più diverso. Viaggiare è una bellissima scuola di vita che sono onorato di aver fatto. Ho tantissimi progetti da realizzare, completare la Enrico Alexis Sports Academy in ogni sua divisione sportiva e poi altre attività a cui sono molto affascinato.

E la tua vita privata? In questi giorni ti abbiamo sempre visto in compagnia di una bellissima modella che sfila qui a Roma. E' la tua compagna?

No, siamo solo amici. Abbiamo avuto la fortuna di esserci incontrati e di condividere molte cose in questo lungo viaggio che è la vita di ognuno di noi. Ci siamo conosciuti a Miami, lei è molto bella, tenera e davvero speciale. A volte mi sembra di conoscerla da tanto tempo. Ha molti sogni e forza interiore. Sono stato davvero fortunato ad averla incontrata.

Davvero non siete assieme?

(Alexis mostra una tenera espressione imbarazzata)
No, davvero, (difficile crederlo vedendoli assieme,ndr). Non è il momento per essere di qualcuno. Non riuscirei a dare tutto me stesso, ho bisogno di energie per cambiare l’uomo che ho dentro. Per iniziare questa seconda parte del mio viaggio. Io vivo l’amore come qualcosa di veramente raro, di folle, come qualcosa da sognare, qualcosa di veramente speciale. Quando mi sentirò pronto sarà bello tornare ad essere di qualcuno.

Finisce questa lunghissima intervista, sorseggiamo ancora un buon tea e altri pasticcini, Alexis sorride e mi chiede alcune cose sulla mia professione e sulla vita personale. Sembriamo amici. E’ stata una chiacchierata molto coinvolgente e appassionante. Mi saluta con una stretta della mano ed una frase: “Fai buon viaggio nella tua vita”.

Fai buon viaggio nella Tua vita...
Incontro con il tecnico di Tennis Enrico Alexis.
di Alberica Rocca | Roma 16 Luglio 2002 | © 2002 | Home

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